La usiamo da sempre, noi iblei. Certamente da prima che nascesse Gesù. Anonimi lapicidi scavarono infatti due sarcofagi per custodire il riposo eterno ad altrettanto anonimi ragusani di duemilatrecento anni fa. Tombe scavate in due blocchi presi da chissà quale affioramento roccioso di Contrada Tabuna, immediata periferia Sud di Ragusa.
Con epicentro a Ragusa, tutte le città del circondario hanno utilizzato quella pietra estratta in appena trecento ettari compresi tra la vallata del Fiume Irminio e la strada statale per Mazzarelli, oggi Marina di Ragusa.
A fine 700 il pittore francese Jean Houel visita questa parte dell’Isola. A Ragusa rimane molte settimane. Ha modo di visitare i luoghi dai quali si estrae la roccia bruna e odorosa e ne scrive qualche rigo. Riteniamo che quelle righe dell’artista transalpino (autore delle più belle guaches dell’epoca, con le riproduzioni magnifiche dei più bei posti di Sicilia) siano lette dal suo connazionale Deodat de Dolomieu, uno che di montagne e minerali ne capiva e ne descrive le qualità.
Nelle chiese di stile “tardo barocco siciliano”, ovvero quelle costruite dopo il tremendo terremoto del 9 e 11 gennaio 1693 e che hanno convinto l’UNESCO a inserire ben otto comuni della Sicilia sud-orientale nella World Heritage List, cioè i cosiddetti “beni dell’umanità”, in quelle chiese, la pietra pece è presente sotto tante espressioni. Quelle artigianali, come fondazioni, pavimenti, scale e scaloni. E quelle artistiche, come statue, colonne, capitelli, acquasantiere, scaloni artistici. Basterebbe citare anche un solo esempio tra i tanti: la scala d’accesso e la balaustra che collega la chiesa al convento della Madonna Immacolata a Ragusa Ibla. Un trionfo di barocchismo in forma di nero pece. E poi c’è un altrettanto grande patrimonio artistico e architettonico sotto forma di case e ville.
L’intero territorio del sud-est siciliano ne ha approfittato. Infatti quella pietra rende i pavimenti, specie quelli intarsiati con la roccia bianca e possibilmente le ceramiche calatine, veri e propri capolavori, incredibili giochi geometrici che sovente ammaliano, ipnotizzano l’occhio del visitatore.
Quella pietra che chiamiamo “petrapici” è antica, molto antica. Utilizzarla ancora oggi è non soltanto un modo elegante di arredare e arricchire le nostre case, ma un modo intelligente per tramandare antiche tradizioni e mai sopito senso del bello.
Saro Distefano